Curare in famiglia

Badanti o Volontari?

C’era un tempo, assolutamente non troppo lontano, dove la parola badante non era inclusa neanche nei nostri dizionari o comunque sicuramente dal significato sconosciuto per la maggior parte della popolazione.
La velocità con la quale questa parola è diventata familiare e con cui l’utilizzo di questa figura professionale si è imposto, è pari o superiore, alla velocità di diffusione dei cellulari o dei social.

Oggi, si dirà, lavorano tutti in famiglia e per salvaguardare il posto di lavoro e il reddito familiare, quando c’è da assistere un anziano non autosufficiente il ricorso ad una persona esterna si impone.
Ma è cambiata così tanto nell’ultimo paio di decenni la nostra società, dal punto di vista dell’incrememnto occupazionale? Assolutamente no, anzi caso mai il contrario, anzi è anche cresciuto poi il numero di pensionati giovani e con ancora tutte le energie sufficienti ad occuparsi di propri genitori non autosufficienti, almeno anche solo parzialmente.
Ma no, la ragione reale del ricorso massiccio alla badante è vicina alla solita, cioè a questa (ved. “anziano in famiglia”).

Oggi una famiglia ricorre alla badante non solo come aiuto per integrare un’opera svolta fondamentalmente ancora da familiari ma per affidargli la completa assistenza dell’anziano, magari vivente anche in una struttura distante, o fuori comunque da un controllo e una vigilanza dei parenti e visitata da questi solo sporadicamente.
Vale a dire, in sintesi e molto brutalmente, la vita di un familiare non autosufficiente affidata totalmente a una persona estranea, quasi sempre straniera e molto spesso proveniente da quelle situazioni difficili, ambientali, materiali o psicologiche che costringono all’emigrazione.
Ma pur con tutto l’impegno, l’umanità (che è veramente tanta nella maggior parte dei casi e tale da farci vergognare, visto che vanno a trattare con quello che noi talvolta non vogliamo neanche vedere nonostante sia sangue del nostro sangue), i limiti nel fornire un’assistenza adeguata da parte di queste persone sono notevoli.

Barriere linguistiche e culturali, impediscono alla persona anziana di poter comunicare agevolmente con queste persone e mantenersi così mentalmente in esercizio. Infatti, la conoscenza della lingua italiana da parte di queste assistenti non è perfetta, a questo si aggiunga la nostra abitudine ad usare il dialetto, sopratutto delle persone anziane.

Per non parlare della preparazione dei pasti. La loro conoscenza della nostra ricchissima tradizione culinaria è sempre insufficiente, abituati come siamo noi a mangiare bene nel Paese del migliore cibo del mondo. Attenzione, perchè questo è un aspetto fondamentale nella preservazione del buono stato di salute della persona anziana, la quale è spesso sottoposta all’osservanza di regimi alimentari specifici. Per cui c’è bisogno di competenze culinarie profonde al fine di preparare pasti gradevoli e che rispettino le direttive mediche. Quanto una persona che proviene da un’altra cultura gastronomica può riuscire in breve tempo ad impadronirsi di dette conoscenze? (Ved. Alimentazione negli anziani).

Infine, tralasciamo anche il discorso molto più complesso relativo all’aspetto psicologico della persona anziana, la quale anzichè circondata da figure familiari si vede costretta a convivere ed obbedire ad estranei che cambiano anche con grande, troppa, frequenza.

Un’alternativa per quei familiari disponibili ad (e che lo vogliano!) occuparsi in prima persona dei loro congiunti anziani non più autosufficienti, ma con il bisogno di un aiuto per integrare la propria opera di assistenza e, magari alle prese anche con risorse finanziarie scarse, è la figura del/la volontario/a. Straniera quasi sempre anche questa figura, ma che, rispetto alla badante, è spinta da una motivazione non di natura economica ma bensì da un obiettivo di fare un pura esperienza culturale.
Il vantaggio, è che quest’aiuto è gratuito (solo vitto e alloggio, su base’au pair‘,) e offre alla famiglia una possibilità di scambi culturali proficui.
I limiti principali: svolgono la loro opera solo per un certo numero di ore settimanali e quando si tratta di assistere anziani, non vanno molto al di là di offrire la loro compagnia o sorveglianza nei periodi di assenza dei familiari (il che non è poco se si calcola che in quelle ore il familiare potrebbe lavorare e quindi non interrompere o sospendere rapporti professionali per assistere qualcuno nella propria famiglia).
E’ questa una soluzione poco utilizzata in Italia, quasi sconosciuta e anche forse non alla portata di tutti. Una conoscenza della lingua inglese, anche minima, è fondamentale per poter comunicare e anche una certa apertura allo scambio culturale è necessaria.
Per coloro interessati a questa soluzione, le opportunità ultimamente sulla rete sono in aumento, basta saper cercare quella giusta. Per qualche suggerimento pratico su questo tema che richiederebbe una trattazione più estesa che esula da queste pagine, sono a disposizione, per condividere anche in questo caso, quella che è stata la mia esperienza.